mercoledì 30 novembre 2011

LE SIRENE

La notte svanisce in un raggio leggero, che forza di luce non ha, ma dipinge in silenzio un quadro che si muove in parete e desta dolci risvegli. E scopre piumini e porta freddo alla pelle ed emozione di superficie e desiderio d'acqua bollente.
Un sogno non finito riaffiora alla mente, ricordi di ambienti impossibili e colmi d'acqua e di verde e di gioia o dolore minuto, squilla una sveglia dentro un telefono d'ultima generazione, abbaia il suo vecchio cane che più le scale non sale, e chiama un padrone distratto; non ultimo il rumore di bottiglie di vetro che finisce assordante dentro il camioncino della raccolta differenziata.
E poi uno tsunami di caldo, la doccia che scotta la pelle sensibilizzata dalla notte riposante, il caffè che brucia la gola e la lingua ma riappacifica l'angelo del buio con il diavolo della luce, il mocassino che s'infila senza fatica e la musica della serratura che s'apre, ancora una volta, ancora un mattino.

E poi il giorno, il solito, giorno. Mercoledì. Uno schifo.

La sera, dodici ore dopo, la fretta. La fretta di recuperare la grazia del mattino soave, la fretta di una pizza d'asporto, la fretta di una bottiglia di finto vino rosso, vinto, trovato, la fretta di conclusioni dettate da stanchezza e non da poesia.
E poi, sirene. Sirene alle orecchie, sirene lontane senza la facoltà di telletrasporto, sirene vicine, che usano casse e melodie per consolare e spiegare e portarti via, lontano, lontan lontano.
Sirene che riportano la notte, senza accorgersene, quella notte che a breve svanirà, in un raggio di luce, in una doccia calda, in un caffè bollente, in un piumino arricciato, in un mocassino dai lacci già fatti, in un parabrezza gelato, in nuove sirene, in un giovedì.

"perchè continuare, fino a vecchiezza
fino a stare male
e già tutto qua
fermati qua"




2 commenti:

  1. t'invidio, io.
    seriamente.

    szprts

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  2. un giovedì mattina,come potrebbe essere sabato o domenica o lunedì,poco importa,una sveglia suona ad un'ora buona,se non sei andato a letto troppo tardi, suona altre due tre volte,non ci sono treni da perdere o cartellini da timbrare, puoi indugiare ancora un po' sotto la calda coperta di lana di quelle che si usavano una volta. E poi gli infiniti balconi di questa casa infinita che si aprono, l'aria fresca é come uno schiaffo sulle guance ancora calde di sonno, il sole che per qualche ora vince sul buio prepotente del monte di fronte, illumina e scalda il primo piano,le ultime braci sono ancora vive nel camino,ricordo di una dolce serata. Ci sono quattro occhietti blu che attendono con gioia la loro ciotolina di cibo. C'é una piccola tovaglia bianca da colazione,due tazze,una verde e una blu,c'é del caffé di cereali tostati bollente e del latte di riso,ci sono dei biscotti al cioccolato e cannella cotti al forno la sera prima. C'é del lavoro fuori che aspetta,sentieri da ripulire dalle foglie, cachi da raccogliere, l'orto da preparare per l'inverno, ma c'è anche una panchina sulle quale sedersi e guardare giù un fiume che scorre,una fila nauseante di auto e camion che nulla ha a che fare con questa poesia,e l'impressione che laggiù tutto scorra, l'acqua,il tempo,la vita,qui invece tutto sembra essersi fermato,congelato, come quando, dopo la bianca neve, la temperatura scende sotto lo zero.

    Silvia

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