martedì 7 febbraio 2012

UN TRENO

Alle 8.35 il treno per Venezia ancora non è arrivato. 5 minuti di ritardo tuona il cartello elettronico. 5 minuti per quel treno e 5 giorni per Namazio. Il ritardo non è una cosa piacevole, ma basta saperlo prendere. Namazio porta con sè un grosso libro senza copertina, conosce qualche dinamica riguardo i tempi della vita, è previdente, e sa che immergersi in una lunga lettura aiuta a dimenticare qualsiasi ansia da ritardo. Il ragazzo in piedi a fianco lui batte a ritmo il piede sinistro, forse aiutato dalla musica che ascolta in silenzio nelle cuffiette del suo mp3, forse per aiutarsi a combattere il freddo gelido di questa mattina invernale. Poco distante una signora che indossa una grossa pelliccia anni '80 borbotta contro un ragazzo di colore che le chiede una moneta per un caffè. Tenendo lo sguardo sotto il limite prospettico del binario Namazio non scorge che scarpe grosse e valige di studenti; anche un paio di superga scure sopra calze leggere, ma l'imposto limite visivo gli nega la conoscenza del volto.
Alle 8.41, puntuale sul ritardo previsto, si apre la porta della carrozza 4, esce un puzzo di chiuso leggermente velato d'urina. Lenta, una processione di ventenni mischiati a qualche signore benpensante e a qualche cravatta di troppo scende quel paio di gradini consunti. Piedi che scendono, piedi che salgono. Namazio trova posto sul secondo gruppo di sedili sulla destra, sguardo a rincorrere la meta, schiena al mattino lasciato, ad un bacio veloce, al gelo dello schienale di graniglia su una panchina d'attesa.
Alle 8.42 una giovane studente dai capelli troppo voluminosi chiede gentilmente un aiuto per alzare il suo bagaglio non leggero sul trasportino, un signore africano borbotta nel sonno dal sedile di fianco e un ferroviere corre ansioso avanti e indietro nel corridoio. Si sporge poco più avanti una coppia di turisti giapponesi, sorridono e sembrano chiaccherare animatamente stupiti. Sembrano, chiacchere, perchè Namazio non sente, vede soltanto, immerso com'è in quelle musiche senza parole che riempiranno tutta la sua mattina di viaggio, ad altissimo volume.
Alle 8.45, più o meno, un raggio di luce trova la via perfetta per abbagliare indirettamente gli occhi dell'assorto viaggiatore, che chino col naso immerso nella sua sciarpa bollente, alza lo sguardo quasi irretito, e s'accorge del mondo, che, bianco, abita il paesaggio veloce fuori dal finestrino.
Bianca luce, bianco mondo, scorre la fuori, alla vista di chi solo segue con movimenti ripetitivi del capo l'andare del treno.
Muta luce, muto mondo, e un treno.



Nessun commento:

Posta un commento