giovedì 16 dicembre 2010

ATTENDO.



Cinque uova, cinque patate, cipolla aglio e poco basilico, sale e pepe, grana. La padella lentamente cucina una tortilla tanto inventata quanto buona e sfamante. Brucia però, la padella, e il composto vorrebbe attaccarsi e attecchite il fondo della stessa. Salta, si rompe, viene riposta dentro una terrina di vetro e passata volante al forno, che si rapprenda. Un filo d'olio doliva a crudo, nel finale, per donare mediterraneità al preparato. Poi, nel frigorifero.
Il giorno dopo, stempeta, sopra una stufa, od un termosifone, e servita a fianco di un calice ricolmo di vino rosso, di casa, appena versato da una bottiglia che non contenga meno di 2 litri, sfama. Alle casse dello stereo di casa, che siano esse in sala o cucina, pianoforte dolce e delicato, dalla melodia anche scontata, ma dolce. Perchè senza un contrasto musicale non si apprezzerebbe la tortilla ed il nero.
Le luci, rigorosamente, accese a giorno, ma sulla stanza a fianco. Come se la vita, la gioia, il calore, la luce, ti fosse poco distante, ma non a portata di braccio. Come se mangiar un piatto semplice ma ricco, bevendo un buon bicchiere, ascoltando musica dolce e soave, fosse un incipit, o forse un epilogo, ad un qualcosa di vivo che ti è accaduto, o che ti deve accadere.
Magari che non coglierai mai, come una primula che cresce tra due binari di una linea ferroviaria ad alta velocità.
Torniamo a noi: la tortillas, la musica, la situazione diversa tra le stanze. Ecco, si, insomma, prima, prima una doccia, lunghissima, di quelle che se ne fottono del problema dell'acqua nel mondo, ma se ne fottono consapevolmente sia chiaro. Una doccia come una cascata, un fiume bollente, e tu sotto, capo chino, ginocchia ranicchiate, braccia che abbracciano gli stinchi, e acqua che suona melodie sui tuoi timpani tappati. La ragione ti abbandona, per un istante, i ricordi si affanno l'un l'altro per stare a galla. La pelle d'oca alza la voce, facendosi condizionare dalla differenza di temperatura, e non dall'emozione. Sia chiaro.
E poi magari prima di quella lunghissima doccia una corsa, breve ma intensa, attorno ad un luogo. Trentaminuti. Attorno. Ad un luogo che è molti luoghi, oltre ad essere un paese. E al gelo sopratutto, tra meno 4 e meno 3. E il naso che pizzica e distruba gli occhi, così impegnati ad ammirare la brina sulla carrozzeria delle auto in sosta, così stupiti dal vedere addobbi natalizi attorno a facciate che anni prima avevi disegnato e immaginato, così curiosi nel cercare gioia o dolore dietro i vetri appannati delle case. Correre, correre per decomprimere, decomprimere pensieri emozioni che altrimenti neanche avrebbero permessero di respirare, in una notte così.
Respirare. Respiro bloccato dal riafforare di mostri, emozioni, blocchi, fiori, veleni. Fino alla soglia delle labbra, divise e combattute tra perdizione e rabbia, tra leggerezza e polmoni schiacciati, tra ricordi e coerenze, tra sogni ed incorenze. TRA. In-tra-ppolati.
E allora a poco serve una corsa, a poco serve uno sguardo, a poco serve una cascata d'acqua sulla nuca, a poco una tortilla, a poco un bicchiere, e una musica e due mani che scrivono adesso.
A poco. Tutto ciò serve davvero a poco.
Aspettare, con pazienza. Quello, forse, servirebbe. En attendant. Waiting. Attendere.
Ma chi ? Godot ? Chi è, Godot ? Cosa, è, godot ? E quando, arriva, Godot ? O è già arrivato ?
Magari è già arrivato, nel mentre ero indaffarato a correre, e mangiare e lavarmi e bere.
Magari no, e sto sognando tutto, come sempre.
Attendiamo la neve, invece.
Attendo, la neve.
Attendo.

2 commenti:

  1. ah l'attesa... così infinitamente dolce, molto più del momento stesso
    come la vigilia di Natale
    come il giorno prima della partenza.

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  2. come il giorno prima della felicità..

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