martedì 15 febbraio 2011

NAMAZIO, E LE SUE MANI.

L'acqua che scende dal gigante soffione della doccia è bollente. Le spalle di Namazio si fanno subito rosse, ma lui sembra non farci caso. Lo specchio del bagno si appanna in un men che non si dica. E' mattino presto, un normale lunedì. La casa è silenziosa, talmente silenziosa che il rumore del pensare di lui, sembra esser percepito dai vicini, poco più in là dello scivolo.
La giornata, incerta, di nuvole e sole, promette ritmi elevati.
Il primo caffè sorseggiato, scottandosi un poco la lingua, è amaro. Aggiunge un cucchiaino di zucchero, Namazio, e respira profondamente. I pensieri della giornata a venire non lo lasciano in pace. Sente il peso dell'ansia da prestazione.Sente che non può fallire, nelle piccole cose di oggi, non può fallire perchè altrimenti tradirebbe la grazia di alcuni suoi sogni rivelatori.
E se a trentanni si tradiscono anche i sogni, cosa rimarrà di noi ?
La chiave rumoreggia sulla serratura. Alle spalla la casa ripiomba nel silenzioso freddo dei 16° centigradi programmati sul termostato.
E poi, uscito dal cancello, inizia a correre, Namazio. E corre, corre tutti i minuti di quel pazzo lunedì, corre spinto da una di quelle braci che dopo tanto soffiare riprendono il colorito rosso arancio, corre perchè il fiorista di mattino presto ti ascolta di più e non inventa mazzi dal gusto dubbioso, corre perchè il macellaio tira fuorti dal frigo la carne migliore, corre perchè il tempo stringe e i pensieri e le parole traboccano da sole da labbra disilluse, corre perchè un cliente incerto proverà a diventare ostacolo ai suoi 3000 siepi, corre perchè in una giornata umida il pane ha bisogno di una lievitazione migliore, corrè perchè non vede l'ora di correre, e consumarsi, felicemente, consumare tutte le proprie energie.
L'anziana signora Lina guarda curiosa la corsa di questo giovane che sembra già vecchio. E ride sotto i sottili baffi grigi della senilità. Non riesce a non notare quelle scarpe grosse. E si chiede come si riesca a correre così veloci portando quelle calzature enormi. Ad ogni altra falcata sembra che il giovane inciampi e sbatta la testa, tanto è fuori equlibrio in quella pazza corsa. Ma non cade, a tal punto che la signora si convince che è il Padre Nostro Santissimo, colto da buonismo, a fungere da calamita tra il giovane ed il cielo.
Corre, e scorre, con le scarpe grosse, il tempo di Namazio.
Poi viene la sera. Gli amici. Il calore. Il cibo. Un sorriso. Un calice di vino. Una canzone.
E poi, quelle mani. E si arresta, di colpo, la corsa del prode. Ammaliato dalla grazia di due mani. Mani di cristallo. Cristallo che si muove, danzando tra forchette e altri cristalli. Cristallo soffiato, bollente di vita, che suona melodie soavi senza che dita bagnate percorrino il suo limite circolare.
Mani fragili, e riservate. Mani timide, contenute. Mani silenziose, ma sorridenti. Mani che osservano senza toccare. Mani pronte a, sfiorare.
E allora Namazio si leva, quelle scarpe, così grosse, così goffe; offesa alla grazia che è salita a salutare pacatamente la sua quotidianità. Si leva le scarpe e smette di correre. E siede, lentamente, gambe incrociate, sudato, e affannato.
E rende omaggio, e degusta, da solo, quello spettacolo gratuito, e, forse, irripetibile.
E, respira.



Nessun commento:

Posta un commento