venerdì 18 marzo 2011

ITALIA

Italia è il nome che 150 anni fa qualcuno ha dato ad un vestito.
Un vestito che ricopre un territorio diverso in ogni suo angolo e che spesso muta all'imbocco di un curva, che nasconde parole diverse ovunque si trovi una piazza una panchina e due anziani, che protegge uno stomaco il quale si nutre con una ricchezza e varietà che sinora non ho più conosciuto durante i miei viaggi, che riscalda cuori fragili e poetici e lascia scoperti muscoli fatti di idee sudore e progresso. Un vestito che il tempo, e le persone, e la storia -che non conosco, e i fatti, e i sogni, hanno cucito con impegno, determinazione tenacia speranza e sorriso.
Un vestito fatto di materiali molteplici, tecniche di cucito differenti, tessuti nobili e poveri che s'affiancano, dettagli curati e superfici stracce e dilaniate.
Un vestito che a guardarlo da vicino ci scopri mille altri vestiti, e forse t'indigni per la noncuranza di alcuni dettagli, e ancora esulti per la bellezza di superfici ed intrecci perduti; ma ad osservarlo da lontano, nella sua pienezza e dimensione completa, ti sale la pelle d'oca sulla schiena, per lo splendore, di quell'immensità costruita sulle differenze, omogeneamente, illuminata dal sole caldo del mediterraneo e alleggerita dal vento che ne alza la sottana con cotanta leggerezza e beltà.
Un vestito che protegge maggiormente le spalle, ed il capo, a nord, vicino le montagne, ove a volte la pioggia e la neve minerebbero la tenacia e la forza della mente; un vestito che si allarga e si fa leggero ed azzuro man mano che il tessuto scende alle gambe, lasciandole libere, anche ingenue a volte, di danzare e ballare con quei piedi tanto fragili quanto graziosi e preziosi. E quel corpetto che cinge lo stomaco, magro, forte, al lavoro, centrale e indispensabile, su cui non è concesso l'arrivo dello spensierato vento, ma neanche la beltà faticosa della neve d'ottobre.
Se solo sapessimo, noi, uomini e donne che abitiamo la pelle protetta da questo complesso vestito, volare. Se sapessimo uscire da una manica, passare attraverso un bottone, fuggire dalla sottana o evaporare tra le fibre del corpetto,e volare, più in alto, e guardare. E vederne la beltà, di quest'opera unica, cucita ad arte, ricamata ove conta, a volte straccia e smunta, ma bella. Bella.
Volando, dall'alto, sorridere della trasparenza che ci fa intravedere una vecchia signora, sola che blatera in un bacaro veneziano bevendo una fidata ombra; e un pastore sardo che legge Seneca finchè le sue pecore brucano nella macchia; e il politco fallito romano che si commuove senza che la moglie lo veda quando il sole sorge su castel sant'angelo; e due pescatori di gallipoli che si asciugano al sole pomeridano di marzo, protetti da un berretto che forse non serve più, e puzzano di salso; e quel cameriere di castellamare, che fuma stanco ed ansioso, tra le immondizie, ammirando il vesuvio che si fa rosso di primo mattino; e due asini, lenti e pazienti, in viaggio sull'appia antica che vicino Bagno Vignoni disegna sinuoistà belle quasi come i fianchi di Donna Maria; ed Enzo, a Lampedusa, che appende un'altro sacchetto di brioches appena sfornate sul filo da stendere per i primi ospiti estivi del suo dammuso; o ancora Carlo, in quel grigio e chiassoso bar genovese a Sottoripa, che alza la serranda ogni mattina cantando a squarciagola Crueza de Mà, sua gioia infinita; e come non vedere il piccolo Alessandro, nascosto sotto quelle cuciture sfuggite, e la sua Ruspa giocattolo, di un giallo che anche da quassù quasi leva gli occhi, a parlar da solo e giocar con quelle poche macerie rimaste, nella piazza dell'Aquilia, deserta, ma riempita dal suo sorriso di bimbo, speranza di unItalia che ha ancora parecchio da raccontare.
Italia per me non è solo il vestito che goffamente ho cercato di descrivervi. Italia è anche chi riesce a volarci sopra, a questo vestito, e vederlo nella sua interezza, e capirlo, e vederne i lembi da rassettare, o la tasca da ricucire, o il bottone da aggiungere.
Italia però, è sopratutto chi non vola, chi non cuce, chi non sa e non può vedere tutto ciò, ma dalla sua semplicità, dalla sua terra arida o allagata, dai suoi piedi nudi, dalla sua bontà e tolleranza, spera, e sogna, che ci sia qualcuno, o qualcosa lassù, che continui a vedere, a disegnare, a rammendare questa grande opera d'arte che chiamiamo stivale ma altro non è che Unita Bellezza.

3 commenti:

  1. ho il permesso di dire uau?
    uau.
    [ecco, l'ho detto, mannaggia...]

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  2. Un improvviso risveglio patriottico che non credevo di avere mi fa addirittura commuovere di prima mattina leggendo il tuo post.
    ...magari dopo ne parliamo...

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  3. bellissimo veramente, un volo emozionante, complimenti e grazie

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