mercoledì 16 marzo 2011

PARABREZZA


E' quasi notte . La strada provinciale corre veloce, troppo veloce, sotto le gomme bagnate.
Non c'è nessuno in giro, ombra alcuna di polizia, o passanti, o frequentatori del buio, o amanti, o puttane, netturbini, spiriti solitari e barbagianni.
Piove leggermente. Che quasi non si sente il rumore. Le gocce sul vetro del parabrezza sono talmente belle che quasi Namazio non accende i tergicristalli. Assorto, pensa a quanto brutta è la parola 'parabrezza', a quanto insostenibile sa il concetto di pararla, una brezza. Brezza è vento leggero, che sfiora, accarezza e introduce; introduce una sera, una stagione, un arrivo, un'attesa sospesa. perchè mai bisognerebbe pararla, una senzazione così ?
Alla rotonda il culo dell'auto danza un poco di lato, un brivido scuote in quell'attimo il petto di Namazio. S'accorge che quasi non si vede più fuori, s'accorge di essersi perso per qualche istante nei labirinti dei suoi pensieri, s'accorge ed apprezza il primo momento di lentezza degli ultimi giorni, vissuti troppo freneticamente, s'accorge di provare un irresistibile desiderio di correre.
Sarà la privamera alle porte, che sprigiona in anticipo il suo ormone. Sarà che a scuotere quel petto ormai serve una paura non prevista. Sarà che nelle mani, nella testa, nelle piccole azioni quotidiane, nei bicchieri, nella libreria, nelle chat, nelle tasche del cappotto, nei sogni, in tutti i possibili contenitori della sua vita Namazio ha accumulato troppe cose durante questo inverno. E tutte assieme pesano. E allora correre, pigiare quel pedale, vedere la lancetta che sale, sentire che il motore si desta, provare un'irresponsabile ebbrezza, alleggerisce quel peso. E porta un'illusione di brezza sul viso. Di brezza che non sbatte contro nessun "para", contro nessun muro, ma rinfresca due gance rosse di fatica, e vino, ed imbarazzo.

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